martedì 12 gennaio 2010

Il Cosumismo divora il pianeta

I consumi divorano il pianeta in 5 anni aumentati del 28%
I dati dello "State of the World 2010", il rapporto del Worldwatch institute. I 500 milioni di dindividui più ricchi del mondo sono responsabili del 50% delle emissioni globali di anidride carbonica. E due cani pastore tedeschi consumano in un anno più risorse di un abitante medio del Bangladesh
ANTONIO CIANCIULLO



QUALCHE zoommata: i bambini inglesi riconoscono più facilmente i diversi Pokémon che le specie di fauna selvatica; i bambini americani di due anni non sono in grado di leggere la lettera M, ma molti riconoscono gli archi a forma di M dei ristoranti McDonald's; due cani pastore tedeschi consumano più risorse in un anno di un abitante medio del Bangladesh. E un dato d'assieme: i 500 milioni di individui più ricchi del mondo (circa il 7 per cento della popolazione globale) sono responsabili del 50 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica, mentre i 3 miliardi più poveri sono responsabili di appena il 6 per cento delle emissioni di CO2.

Sono alcune delle cifre contenute nello State of the World 2010, il rapporto del Worldwatch Institute (appena uscito negli Stati Uniti, in Italia sarà pubblicato da Edizioni Ambiente) dedicato quest'anno soprattutto a un'analisi dei consumi. Ingozzarsi di cibo e di merci non fa bene né ai singoli né all'ambiente. Dal punto di vista della salute individuale c'è da notare che molti degli individui più longevi consumano 1.800-1.900 calorie al giorno, cibi poco trattati e pochissimi alimenti animali, mentre l'americano medio consuma 3.830 calorie al giorno. Dal punto di vista della salute globale c'è da rilevare che tra il 1950 e il 2005 la produzione di metalli è sestuplicata, il consumo di petrolio è aumentato di otto volte e quello di gas naturale di quattordici; un europeo medio usa 43 chilogrammi di risorse e un americano 88; a livello globale ogni giorno si prelevano risorse con le quali si potrebbero costruire 112 Empire State Building. Circa il 60 per cento dei servizi offerti gratuitamente dagli ecosistemi - regolazione climatica, fornitura di acqua dolce, smaltimento dei rifiuti, risorse ittiche - si sta impoverendo.


E la corsa a divorare il pianeta diventa sempre più veloce: negli ultimi cinque anni i consumi sono saliti del 28 per cento. Nel 2008, globalmente, si sono acquistati 68 milioni di veicoli, 85 milioni di frigoriferi, 297 milioni di computer e 1,2 miliardi di telefoni cellulari. Non sono aumenti dovuti solo all'incremento demografico: tra il 1960 e il 2006 la popolazione globale è cresciuta di un fattore 2,2, mentre la spesa pro capite in beni di consumo è quasi triplicata.

Non mancano comunque segnali positivi che mostrano l'irrobustirsi di fenomeni di controtendenza. Il rapporto americano cita, tra gli altri, due casi italiani. Il primo è il "piedibus", un sistema per mandare i bambini a scuola con accompagnatori che organizzano un percorso a piedi, con "fermate" per far aggregare al gruppo altri studenti. A Lecco ogni giorno 450 alunni delle scuole elementari raggiungono a piedi le classi seguendo 17 percorsi, accompagnati da un "conducente" e genitori volontari. Dalla loro creazione, nel 2003, questi "piedibus" hanno evitato circa 160 mila chilometri di spostamenti con veicoli a motore. Oltre a ridurre l'impatto ecologico, questo modo di andare a scuola insegna la sicurezza stradale e favorisce l'esercizio fisico.

Il secondo segnale positivo italiano segnalato dal Wordlwatch Institute riguarda le scuole romane. Il 67,5 per cento del cibo servito nelle scuole della capitale è biologico e in buona parte proviene da catene specializzate in prodotti del territorio o ha un certificato "equosolidale" o è stato prodotto da cooperative sociali che lavorano terra confiscata alla mafia.

(12 gennaio 2010)
http://www.repubblica.it/

mercoledì 17 giugno 2009

Discariche italiane in 2 anni piene

20:32 - CRONACA- 16 GIU 2009
Rifiuti,Assoambiente:Emergenza discariche,in 2 anni saranno piene


Il 47% degli urbani e il 44% degli speciali

Roma, 16 giu. (Apcom) - Tra due anni le discariche non potranno accogliere più rifiuti. E l'Italia è molto vicina all'emergenza. Lo afferma Fise-Assoambiente nel suo rapporto su "Gli impianti per il trattamento dei rifiuti in Italia". Gli impianti della penisola raggiungeranno i limiti autorizzati e non potranno, salvo eventuali nuove autorizzazioni o ampliamenti delle capacità esistenti, accogliere ulteriori quantità di rifiuti. In ogni caso "siamo in ritardo". Rischia così di allargarsi la situazione emergenziale vissuta recentemente da diverse regioni. Occorre "individuare e progettare tempestivamente soluzioni di smaltimento alternative". Nella ricerca, curata dalla Fondazione sviluppo sostenibile, l'associazione che in Confindustria rappresenta le aziende che operano in campo ambientale, ha messo al setaccio gli impianti di trattamento dei rifiuti presenti in Italia, evidenziando come, tra le diverse modalità di gestione, il conferimento in discarica ricopra ancora un ruolo dominante sia per i rifiuti urbani (47%), sia per quelli speciali, pericolosi e non (44%). Considerando il ricorso continuo a questa forma di smaltimento dei rifiuti, "a breve - scrive Assoambiente - l'Italia dovrà fare i conti con l'esaurimento delle capacità residue disponibili". In assenza di necessarie soluzioni alternative "non sarà possibile gestire a livello nazionale i rifiuti non avviabili al riciclo (circa 59,3 milioni di tonnellate nel 2007) e quelli prodotti al termine dei processi stessi del riciclo". Un ulteriore "campanello d'allarme", illustrato dalla ricerca, riguarda i tempi amministrativi e tecnici per realizzare non solo nuove discariche (nella peggiore delle ipotesi), ma eventualmente anche sistemi a tecnologia complessa, come, ad esempio, gli impianti di incenerimento. Sulla base delle esperienze sino ad oggi registrate, la tempistica media per la progettazione e messa in funzione di un impianto va da un minimo di quattro anni a un massimo di quasi sei. Il Paese si trova quindi "già oggi in notevole ritardo per la programmazione di soluzioni alternative o di potenziamento delle attuali capacità di smaltimento". Dal Rapporto emerge, inoltre, una forte disomogeneità nella distribuzione degli impianti di smaltimento sul territorio nazionale. La percentuale dei rifiuti, urbani e speciali, avviati all'incenerimento in Italia è pari al 12%, ben al di sotto della media riscontrata in ambito europeo (oltre 20%). La capacità di recupero energetico dei termovalorizzatori, distribuita in modo disomogeneo sul territorio nazionale (69,8% al Nord, 14,6% al Centro e 15,6% al Sud) non consente ampi margini di ulteriore sfruttamento, in particolare al Nord dove la capacità annua disponibile è utilizzata, soprattutto per i rifiuti urbani, per oltre il 90%. Al Centro e al Sud, dove la capacità utilizzata per i rifiuti urbani scende rispettivamente al 72% e al 42%, il quantitativo di rifiuti avviati a questo trattamento è significativamente inferiore rispetto alle quantità gestite in discarica, a causa soprattutto del minor costo di conferimento. Gli impianti di recupero dei rifiuti sono 6.404, con una capacità di trattamento autorizzata annua di 150,8 milioni di tonnellate, distribuite "in modo disomogeneo in ambito nazionale". Sul settore del riciclo gravano oggi numerosi fattori che ostacolano un'ulteriore crescita. I motivi sono legati non solo alla necessità di migliorare la qualità delle raccolte differenziate e allo sviluppo tecnologico degli impianti di riciclo, ma soprattutto alle difficoltà di potenziamento degli sbocchi di mercato per le materie prime secondarie, in particolare nell'attuale momento di crisi dei mercati e di crollo delle quotazioni dei materiali. "Per evitare future probabili situazione di emergenza - sostiene Pietro Colucci, presidente di Fise Assoambiente - è necessario promuovere un sistema impiantistico integrato, generazionale (almeno 20 anni), supportato da un quadro normativo stabile ed omogeneo, caratteristica fondamentale per garantire i necessari investimenti. A ciò si deve aggiungere una regolazione del mercato che favorisca lo sbocco dei materiali riciclati, per evitare la sottoutilizzazione delle capacità autorizzate, il blocco dello sviluppo di processi tecnologici e il mancato raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio fissati in ambito europeo".

mercoledì 27 maggio 2009

Italiani: "Si al rinnovabile, no al nucleare"

Secondo un sondaggio presentato al Forum «QualEnergia» di Roma
Energia: agli italiani piace rinnovabile
Gradimento dell’ 80% per il solare ed eolico. Al nucleare, ritenuto «pericoloso e costoso» solo il 14%


ROMA - E’ il mix formato da energia solare più eolica quello che sta nel cuore degli italiani: l’80% di un campione rappresentativo della popolazione nazionale vorrebbe che fosse la fonte principale con cui produrre l’elettricità. Solo il 14% opta per il nucleare, di cui tanto si parla in questi mesi a causa del progettato rilancio da parte del governo. Questi dati, presentati al Forum Qual Energia, promosso a Roma da Legambiente e dal Kyoto Club, sono il frutto di una ricerca condotta da Lorien Consulting, un gruppo specializzato in indagini socio-economiche e del mensile La Nuova Ecologia. Dal nuovo sondaggio emerge una fotografia dell’Italia molto consapevole e informata sulle questioni energetico-ambientali che, per il 68,7% degli intervistati, rappresentano i problemi più rilevanti rispetto ad altri, come il rischio del terrorismo (22,1%) o la casa (4,9%). Sul nucleare in particolare emerge che più del 60% degli intervistati lo considera pericoloso e costoso e preferirebbe evitarlo.

DISPOSTI A PAGARE DI PIÙ - Ma il dato forse più significato emerso dall’indagine è quello relativo ai sacrifici che gli italiani sono disposti ad affrontare pur di garantirsi in futuro ambientale e dei sistemi di produzione energetici puliti. «Anche in tempi in cui si tende a diminuire il budget quotidiano (37,7% degli intervistati), gli italiani dichiarano un’aperta disponibilità a pagare di più per garantirsi energie pulite e sostenibili», ha riferito Antonio Valente, amministratore delegato di Lorien Consulting . Anche secondo il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza lo scarso indice di gradimento del nucleare dovrebbe fare riflettere: «Nonostante la recente pressione mediatica, la stragrande maggioranza del campione intervistato, a prescindere da fattori anagrafici, socio-economici e di appartenenza politica, definisce l’energia nucleare cara e pericolosa, e privilegia le fonti rinnovabili. Solo una minoranza (14%) indica il nucleare come fonte da preferire; una minoranza che, di fronte all’ipotesi di abitare vicino a una centrale o a un deposito di scorie radioattive, avrebbe comunque seri dubbi».

LE PERCENTUALI - Il Forum QualEnergia, giunto quest’anno al secondo appuntamento, propone tra i temi la crisi economica e gli stili di vita sostenibili e, nei propositi degli organizzatori, vuole essere un’occasione per dare una risposta ai problemi energetici: dai cambiamenti climatici ai limiti delle risorse. La crescente attenzione degli italiani per le energie rinnovabili è anche il tema di un rapporto presentato dalla Fondazione Sviluppo sostenibile presieduta dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, secondo cui, entro il 2020, un kilowattora su tre (pari al 33%) dell’ energia elettrica può essere prodotto utilizzando fonti energetiche rinnovabili. «L’attuale obiettivo di produrre entro il 2020 solo un kilowattora su quattro, pari al 25%, di energia elettrica utilizzando fonti energetiche rinnovabili –sostiene Ronchi - sarebbe infatti un freno alla crescita del solare, dell’eolico e delle biomasse: si può fare di più». Il 33% di rinnovabili, che corrisponde a 108 terawattora (Twh) di produzione nazionale al 2020 (partendo dai 58 prodotti nel 2008) comporta l’obiettivo di 50 nuovi TWh rinnovabili da produrre entro il 2020. Tale obiettivo è impegnativo ma, secondo la Fondazione Sviluppo Sostenibile, raggiungibile nel modo seguente: 22 Twh di nuovo eolico, 11 Twh di nuove biomasse e biogas, 7 Twh di nuovo solare, 5 Twh di nuovo idroelettrico.

Franco Foresta Martin
27 maggio 2009
http://www.corriere.it/

giovedì 21 maggio 2009

Norvegia: Via alle autostrade ad idrogeno

La prima autostrada «a idrogeno» in Europa
Inaugurata in Norvegia. In 580 km oltre 12 distributori a idrogeno



NORVEGIA - Si è tenuta lunedì a Oslo la cerimonia di apertura dell'autostrada nordica dedicata alle auto a fuel cell. Presenti numerose case automobilistiche impegnate nella produzione di auto a idrogeno. Si chiama HyNor ed è un'autostrada percorribile da veicoli a idrogeno. Inaugurata ieri a Økern, in Norvegia, l'arteria stradale fa parte di un circuito scandinavo di autostrade eco-friendly che mira ad estendersi sempre di più e che presto potrebbe coinvolgere anche la Germania.

IL PROGETTO - HyNor è lunga 580 chilometri e mette in collegamento Oslo e Stavanger. La neonata infrastruttura per il trasporto alimentato a idrogeno è servita da diverse stazioni di rifornimento di StatoilHydro (impegnata dal 2003 nella realizzazione del progetto assieme agli oltre 50 partner di HyNor), perchè si sa che uno dei principali problemi dei veicoli di questo tipo è l'autonomia limitata. Come spiegato da Anne Marit Hansen, presidente del Consiglio di amministrazione di HyNor, l'obiettivo dei promotori dell'iniziativa è quello di incentivare l'utilizzo dell'idrogeno al posto del carburante tradizionale, ed è per questo che anche numerose case automobilistiche già attive nel settore sono state coinvolte.

L'INAUGURAZIONE - L'apertura è stata ufficializzata dal ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni del Paese, Liv Signe Navarsete, che ha inaugurato la nuova stazione di rifornimento a idrogeno della città di Lier, mentre il sindaco di Oslo, Erling Lae, ha fatto da padrino a quella di Økern. I primi a percorrere l'autostrada sono i partecipanti alle tre giornate (11-13 maggio) dell' «Evs Viking Rally» , un rally internazionale dedicato alle auto verdi. Alla gara partecipa anche il Principe Haakon di Norvegia, assieme al campione norvegese di rally Henning Solberg e ai conducenti delle auto a idrogeno, elettriche e ibride che correranno da Oslo a Stavanger.

Alessandra Carboni 12 maggio 2009

http://motori.corriere.it/

giovedì 5 marzo 2009

Cinquecento ore l'anno in auto

Cinquecento ore l'anno in auto
Incubo al volante in città

Secondo un'inchiesta dell'Aci gli automobilisti ormai vivono in macchina
Il costo della congestione stradale è di 40 miliardi di euro l'anno



Quaranta miliardi di euro l'anno: è quanto costa agli automobilisti italiani il traffico. Il tempo perso in città, imbottigliati in macchina si paga caro secondo un'indagine dell'Aci che in quattro città campione (Roma, Milano, Torino e Genova) ha studiato a lungo i dati raccolti da vetture attrezzate con dispositivi di localizzazione GPS. Il quadro che emerge è preoccupante perché alla fine si scopre che romani e milanesi passano più di 500 ore l'anno in macchina. E che per loro lo spostamento medio, in città, dura circa 60 minuti, per la metà persi ovviamente in code e rallentamenti.

LA TABELLA

Tragica anche la situazione nelle città più piccole prese in esame dall'Aci perché i torinesi passano 450 ore l'anno in auto e 380 i genovesi. Cosa fare? Niente è la risposta che da anni arriva da ogni tipo di governo: nessun parcheggio, nessuna modifica alla viabilità e nessun tentativo di ridurre il parco circolante: in Italia oggi circolano più di 35 milioni di auto, ma solo 10 anni fa erano 30 milioni e nel 1986 si fermavano a 24; mentre negli anni Sessanta ce n'erano solo 1,9 milioni, cioè meno di quante se ne vendono ora ogni anno e quasi quanto l'aumento del circolante negli ultimi tre anni...

Ma visto che quest'analisi arriva proprio da un ente che si chiama “Automobile club” i dati sono anche accompagnati da una proposta: quella di gestire meglio le informazioni di infomobilità urbana. Secondo l'Aci infatti un sistema del genere ben oliato consentirebbe una riduzione “fino al 40% dei livelli di congestione, valorizzabile in 16 miliardi di euro”.
E' stata quindi messa a punto una Centrale di Informazione sulla mobilità stradale battezzata “Luce Verde Infomobilità Roma”, realizzata dall'Automobile Club d'Italia in collaborazione con la Polizia Municipale del Comune di Roma, con l'obiettivo dichiarato di avere “una raccolta puntuale delle informazioni - come spiegano al quartier generale dell'Aci - nella loro validazione ed elaborazione, e nella diffusione attraverso una moltitudine di canali di comunicazione”.
Una cosa che fino a oggi non è riuscita a nessuno, proprio per il caotico sistema di comunicazione fra forze dell'ordine, polizie locali e gestori (Anas e società Autostrade) delle strade.

La proposta dell'Aci punta tutto però sulle polizie locali, ma anche sul monitoraggio con telecamere dei punti nevralgici della rete stradale urbana. Il tutto poi dovrebbe confluire on line e sulle emittenti radio e tv locali. Belle idee, che però cominciano male: il sito web (www.roma.luceverde.it) - “dove pianificare il tragitto urbano con un quadro aggiornato degli eventi sul percorso” - proprio il giorno del debutto dell'iniziativia - rimanda su una pagina di google, not found. Motivo? A Roma è stato infatti tagliato un cavo di fibre ottiche è il sito è andato in tilt, così è stato aperto un nuovo spazio web all'indirizzo www.Infomobilitaroma.it. Un esempio lampante della situazione e dei problemi da risolvere per mettere in piedi un progetto così ambizioso...

(5 marzo 2009)
http://www.repubblica.it/

mercoledì 14 gennaio 2009

Eolico in Italia. Sul 2008 più 37%

L’aumento I megawatt di potenza totale installata sono passati da 2.726 a 3.743. Gli impianti: 3.640
Italia, l’energia del vento In un anno il 37% in più
Ma Germania e Spagna restano lontane

Il dato è di questa settimana. Chiusi i conti relativi al 2008 è risultato che l’energia del vento in Italia ha avuto un balzo insperato, passando da 2.726 megawatt di potenza totale installata a 3.743 megawatt. Più di mille megawatt aggiuntivi, pari a una crescita record del 37%. Nel corso del 2008, i 3.640 aerogeneratori installati nel nostro Paese, hanno prodotto oltre 6 miliardi di kilowattora, cioè il 2% dei consumi elettrici, e alimentato i bisogni di 6,5 milioni di italiani. Non sono ancora disponibili le esatte prestazioni degli altri Paesi europei nell’anno appena trascorso, ma sembra che intanto abbiamo risalito la classifica e conquistato il terzo o quarto posto per potenza eolica installata, dopo Germania, Spagna e probabilmente Francia.

Salvo il fatto che potremmo perdere tale posizione se non si continuasse a mantenere il passo appena intrapreso. I dati aggiornati, assieme a un certo stupore degli stessi operatori del settore, arrivano da un tavolo tecnico formato da Enea, associazioni dell’eolico e delle rinnovabili, gestori del sistema elettrico e della rete di trasmissione, che si riunisce ogni anno con il proposito di fare il punto della situazione. Lo stupore sul risultato positivo deriva dalla consapevolezza che l’eolico in Italia è come una Ferrari che corre con la leva del freno a mano tirata: si sviluppa, ma non tanto quanto potrebbe e soprattutto molto meno di quello dei partner europei con cui abbiamo l’ambizione di confrontarci. «Resta il fatto che Germania e Spagna, i Paesi in testa alla classifica europea, ci subissano e, nonostante la nostra crescita, il distacco fra loro e noi continua a crescere — lamenta Simone Togni, segretario generale dell’Associazione nazionale di energia del vento (Anev), che riunisce oltre il 70% dei produttori di elettricità del settore —. La Germania, per esempio, nel 2007 (l’ultimo anno di cui si hanno dati certi) ha impiantato aerogeneratori per 1.667 megawatt, arrivando a un totale di 22.247 megawatt, cioè quasi dieci volte più di noi, e tutto ciò con un territorio meno ventoso del nostro».

L’insoddisfazione per lo sviluppo frenato dell’eolico non è immotivata: alla fine dell’anno scorso il nostro Paese, pur con qualche mal di pancia, ha condiviso l’approvazione del pacchetto energia-clima dell’Unione Europea. Entro il 2020 l’Europa, in media, dovrà raggiungere il 20% di rinnovabili e altrettanto di efficienza energetica e di riduzioni dei gas serra (in Italia l’obiettivo delle rinnovabili è del 17%). E l’eolico appare oggi, fra le rinnovabili, la forma di energia più adatta per tagliare il traguardo. Ma quali sono i lacci che impediscono all’eolico italiano di decollare come in altri Paesi? «Da noi ci sono iter autorizzativi che durano in media cinque anni, invece che tre mesi come in Germania — riferisce Togni —. E ciò nonostante la normativa europea preveda un massimo di 180 giorni, cioè sei mesi, per esaurire tutte le verifiche e approvare o respingere i progetti di installazione delle turbine eoliche». Aggiunge Luciano Pirazzi, che per l’Enea gestisce un meticoloso osservatorio degli sviluppi dell’eolico, valutati anno dopo anno: «Quando un impianto è realizzato e pronto a partire, spesso ci vogliono altri mesi di attesa per ottenere il collegamento alla rete elettrica, la quale, purtroppo, non è adeguata a questo tipo di impianti molto dispersi sul territorio, e prevalentemente collocati in regioni, come quelle del Sud, strutturalmente carenti di reti di trasmissione e distribuzione ».

Terna, Enel e le aziende municipalizzate si stanno dando molto da fare per colmare queste lacune, aggiunge Pirazzi, ma resta ancora molto lavoro da portare avanti. A dispetto degli impedimenti autorizzativi la fiducia degli investitori italiani, alimentata dal boom dell’eolico fuori dei confini nazionali, a cui prima o poi converrà adeguarci, resiste. Anche perché qualche segno positivo è già arrivato. «Un provvedimento Scajola-Prestigiacomo dell’anno scorso assicura ai produttori maggiori ritorni economici grazie alla più facile commerciabilità sul mercato dei certificati verdi ottenuti dalle aziende elettriche che investono nel vento», spiega Togni. In pratica chi, rispettando l’obbligo della produzione di una quota di circa il 4% di energia elettrica con rinnovabili, ottiene certificati verdi li può vendere a buon prezzo a chi non ce l’ha fatta a raggiungere l’obiettivo ed è costretto all’acquisto dei titoli ecologici. E’ in dirittura d’arrivo un altro provvedimento che impone la regolamentazione delle quote di eolico da installare nelle varie regioni, in modo tale che gli investitori possano programmare gli impianti senza sorprese, com’è accaduto, per esempio, in Sardegna e in Sicilia, dove ci sono stati pronunciamenti degli enti locali contro gli aerogeneratori.

Tutta questa materia dovrebbe finalmente essere coordinata da un Osservatorio nazionale per le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, da poco rilanciato e affidato al direttore generale dell’Ambiente Corrado Clini. Sarebbe proprio grazie alle novità già introdotte o attese se l’anno scorso si è guardato con più fiducia agli investimenti nell’eolico e si è registrato l’insperato successo dei mille megawatt in più. «Si tratta di una performance positiva che si potrebbe ripetere anche quest’anno—prevede Pirazzi—e che potrebbe allinearci a Paesi come Regno Unito, Francia e Portogallo, che sono abbastanza vicini a noi in classifica e che stanno andando molto bene, grazie a un forte consenso sociale e a una politica energetica delle rinnovabili favorevole e condivisa ».


Franco Foresta Martin
14 gennaio 2009
http://www.corriere.it/

lunedì 12 gennaio 2009

Consumismo: La TV al plasma come un SUV del salotto

TELEVISIONI
"Non comprate tv al plasma Inquinano come dei Suv"
Iniziativa ambientalista del governo inglese in merito a questa tecnologia per i grandi schermi.

LONDRA - Li chiamano "i 4x4 del salotto": sono i televisori giganti al plasma, il cui schermo piatto da 50 pollici in su occupa tutta, o quasi, una parete. Come i fuoristrada che inquinano l'ambiente, ora anche queste mega-tivù sono nel mirino degli ambientalisti: consumano troppa energia, quattro volte di più di un tradizionale televisore e più del doppio di uno delle stesse dimensioni a cristalli liquidi. Perciò il governo laburista di Gordon Brown ha deciso di metterli al bando come mossa contro il cambiamento climatico, secondo quanto hanno anticipato fonti ufficiali al quotidiano Independent.

L'iniziativa fa parte di una più ampia lotta alle tivù che consumano in modo eccessivo: l'Unione Europea sta finalizzando i dettagli di un nuovo regolamento che obbligherà a rispettare degli standard minimi per tutti i televisori. I modelli più spreconi verranno gradualmente mandati in pensione, e il resto riceverà etichette che indicheranno chiaramente il consumo di energia in modo da permettere agli acquirenti di identificare i più e i meno efficienti dal punto di vista del risparmio energetico. Un piano che prende ad esempio misure simili entrate in vigore in tutta Europa per i frigoriferi e per altri elettrodomestici, risultato in un considerevole risparmio di energia nel corso dell'ultimo decennio.

Il problema è che negli ultimi trent'anni, nel Regno Unito come nel resto d'Occidente, il numero degli elettrodomestici e dei gadget elettronici in una casa media è quasi triplicato, passando da 17 a 47. Là dove una volta c'erano solo il ferro di stiro, l'aspirapolvere, la lavatrice e un televisore per tutta la famiglia, ora si aggiungono congegni di ogni tipo, dagli scanner agli allarmi, dalla macchina per fare il caffè e il cappuccino ai computer e alle console di videogiochi. Per tacere delle tivù, che si sono moltiplicate al punto che oggi nelle abitazioni di questo paese ce ne sono 60 milioni, una per ogni membro della popolazione, inclusi i neonati e chi la televisione non la guarda mai. L'ammontare di energia necessario per far funzionare questa esplosione di elettrodomestici è più che raddoppiato nel medesimo periodo di tempo, e gli esperti calcolano che crescerà di un altro 12 per cento nei prossimi quattro anni.

Il boom in televisori a schermo piatto, così come quello in televisori sempre più grandi, contribuisce all'aumento del consumo energetico. Perciò il governo ha ora deciso di intervenire con un divieto per le tivù al plasma più grandi, le "4x4 del living-room" appunto. Un televisore al plasma da 50 pollici può consumare 822 kilowatt per ora, contro i 350 di un televisore a cristalli liquidi della stessa grandezza e i 322 di un tradizionale televisore a tubo catodico. Un grosso modello al plasma può consumare quattro volte più elettricità del più grande modello catodico, ed essere responsabile dell'emissione di quattro volte tanto ossido di carbonio. La campagna per ridurre il consumo energetico della tivù include l'ammonimento di non spegnere i televisori col telecomando, ma con il tasto sulla tivù, in modo da staccare completamente l'energia: di notte, con lo schermo buio, i "fuoristrada da salotto" continuano a sprecare elettricità.

(12 gennaio 2009)
http://www.repubblica.it/





Plasma TVs have been dubbed the '4x4s of the living room' because of their energy wastage
Giant plasma TVs face ban in battle to green Britain
New rules will phase out energy-guzzling flatscreen televisions as the EU brings its climate campaign to the living room

By Geoffrey Lean and Jonathan Owen
Sunday, 11 January 2009
Plasma TVs have been dubbed the '4x4s of the living room' because of their energy wastage


Energy-guzzling flatscreen plasma televisions will soon be banned as part of the battle against climate change, ministers have told The Independent on Sunday.

"Minimum energy performance standards" for televisions are expected to be agreed across Europe this spring, they say, and this should lead to "phasing out the most inefficient TVs". At the same time, a compulsory labelling system will be drawn up to identify the best and worst devices.

The moves, which follow last week's withdrawal of the 100W incandescent lightbulb, are part of a drive to slow the rapid growth of electricity consumption in homes by phasing out wasteful devices and introducing more efficient ones. Giant plasma televisions – dubbed "the 4x4s of the living room" – can consume four times as much energy as traditional TVs that used cathode ray tubes (CRTs).

Over the past 30 years, the number of electric appliances and gadgets in a typical home has almost trebled – from 17 to 47 – as a host of devices from scanners to security systems, cappuccino makers to computer game consoles have joined the more traditional kettles, irons, vacuum cleaners and cookers. And the number of televisions in homes has also grown rapidly; there are now 60 million of them, one for every person in the country.

The amount of power needed to run this electronic explosion has more than doubled in the same period, and the official Energy Savings Trust estimates that it will grow by another 12 per cent over the next four years.

The boom in flatscreen TVs, partly spurred by the digital changeover, is helping to fuel the increase, as is the growing size of the screens. The Department for Environment, Food and Rural Affairs (Defra) said last week: "In the past five years we have seen the main television in a household change from typically being a 24in to 32in CRT television to being a much larger flatscreen television, with screen sizes of between 32 and 42 inches becoming more and more common. Not surprisingly, this has seen the energy used by the main television in the house increase."

Different makes and models of television vary in their use of power, but a 42in plasma television may use some 822 kilowatt hours a year, compared to 350kWh by an LCD flat screen of the same size. A 32in CRT, the biggest available, would use 322kWh.

Power consumption goes up as the screens increase in size, so the trust says that a big plasma model could use four times as much electricity and be responsible for the emission of four times as much carbon dioxide as the biggest CRT; they now account for twice as much as a fridge-freezer.

Now European governments are finalising a mandatory EU regulation to set minimum standards for televisions. The worst performers will be phased out, and the rest will have to be labelled with energy ratings which, says Defra, "will make it easier for consumers to identify the most and least energy-efficient televisions available". The scheme is modelled on an existing one for fridges and other white goods which has greatly increased their efficiency over the past decade.

The EU has already agreed minimum standards for the electricity consumed in standby mode. Defra says this should cause a fourfold drop by early next year in the energy used by a TV when it has been switched off by remote control instead of the main switch. Similar steps are being taken in Australia and the United States; in the US, 275 million televisions gobble up as much electricity as is produced by 10 coal-fired power stations.

Manufacturers are responding by making their products greener. The best new plasma televisions now use one-third less energy than the average, and new LED televisions, which are more efficient, are being developed.

http://www.independent.co.uk/